giovedì 2 febbraio 2017

Morte di un Presidente di Paolo Cucchiarelli

My rating: 5 of 5 stars
Su una cosa sono prima di tutto d'accordo con l'autore, e cioè che il "caso Moro" sia il nostro caso Kennedy. Ero ragazzino quando lo rapirono e venni per la prima volta portato alla realtà dalle cronache insistenti e frenetiche di quei giorni, dalle dirette televisive estenuanti per l'epoca, quando c'erano solo due telegiornali, o forse uno.
Di certo mi ricordo i toni drammatici, le polemiche, le facce dei politici sconvolti quando Moro fu ritrovato esanime; per non parlare di tutto quello che è seguito negli anni: processi, processi-bis, ter, quater, con condanne, mi sembrava di tutti i protagonisti, mentre, sullo sfondo, diverse sussurri e strade alternative suggerivano che non era così, fino alle mai mancanti teorie del complotto.
Cucchiarelli fa un'analisi appassionata cercando di mantenersi nel solco dei fatti, ci riesce si può dire quasi sempre, e distingue quando il dubbio è suo.
Americani, 'Ndrangheta, Vaticano, Servizi Segreti, Banda della Magliana: ci sono tutti a collaborare con quello che lui definisce subito "Omicidio derivativo" (prima che di Stato), cioè necessario a tutti che accada e quindi lasciato accadere nonostante sforzi di salvarlo forse anche autentici, ma vani.
Cosa mi fa credere che possa essere così? Prima di tutto, l'omicidio stesso: se è avvenuto, a qualcuno doveva giovare. Poi, l'assoluto riserbo dei familiari, è dir poco, che non hanno voluto cerimonia di Stato, né rappresentanti della DC, né alcuno tranne selezionatissime eccezioni: cioè, state alla larga, voi sapete perché. Poi vengono tutti quelli che hanno tirato un sospiro di sollievo alla sua morte: da Kissinger, che lo aveva sempre avversato, alla già accennata fronda interna della DC.
Se si elencano tutte le ipotesi e si scartano quelle impossibili, la soluzione è tra quelle rimanenti, e qui non c'è niente di impossibile, anzi: la soluzione giudiziaria ha dato solo la sua versione, per ammissione dello stesso presidente emerito Severino Santiapichi.
Si era in tempi di guerra fredda, freddissima, e chi non voleva il più forte partito comunista occidentale in uno stato proteso a metà del Mediterraneo? Si può ragionevolmente credere che, visto che i brigatisti erano in procinto di fare e poi avevano già fatto, il lavoro sporco, molti di questi invisi al PCI abbiano ringraziato per il cospicuo colpo di fortuna.
Dovevano solo lasciar andare le cose, e tutto sarebbe andato nel migliore dei modi in pratica per tutti. Tranne che per Moro, uno statista con fama di integrità superiore costatagli la vita.
Con tanto sfondo, tutti gli altri (il postino, il prete confessore, l'Amerikano, il Grande Vecchio, Guglielmi, l'orchestrale etc.) diventano caratteristi e comprimari interscambiabili, perché alla fine si sono trovati compresi in una parte già scritta non si sa bene da chi, ma di uno spettacolo che sarebbe comunque tragicamente andato avanti fino alla fine.
Qualche volta ho faticato a ordinare mentalmente la grande quantità di informazioni, ma di certo è un libro da leggere.


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