giovedì 28 settembre 2017

Gomorra, la serie tv di livello mondiale

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Se le cose narrate siano vere o meno, non è questa la sede per valutare perché non si tratta di un processo giudiziario. Ma supponiamo perlomeno che siano verosimili e che Ciro, Genny, Don Pietro e tutti gli altri siano personaggi inventati ispirandosi a camorristi anche presunti, prendendone qua e là caratteristiche e tratti:
non credo che gli autori siano dovuti andare tanto lontano.
Qual è allora il merito di questa serie prodotta da Sky Tv?
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Prima di tutto, aver infilato l'indice nella piaga della criminalità con una naturalezza sconvolgente. Lo confesso, e faccio ammenda: avevo snobbato anche questa, stanco di volti troppo carichi, trame troppo addomesticate e della netta divisione tra buoni e cattivi nelle proposte nostrane. In Gomorra non c'è nulla di tutto questo: non ho mai visti attori così concentrati nella parte, personaggi così ben caratterizzati da giustificare ogni loro azione perché necessaria in quell'humus scellerato nel quale vivono e prosperano.
Non c'è consolazione in questo mondo criminale dove tutti vivono come belve feroci all'interno di un parco sorvegliato, con regole ed equilibri non scritti ma chiarissimi; non c'è mai lo Stato, spettatore assente e impotente, e la Polizia agisce al confine, in trincea, con tutte la cautela affinchè la minaccia, almeno, non travalichi il confine.
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Per tornare all'inizio, ciò è stato possibile perché lo sfondo è stato il primo personaggio tra i personaggi: una scenografia accurata che parla da sola, con i quartieri desolati e desolanti dove il degrado è totalizzante, le carrellate silenziose che aprono sul traffico organizzato e spiegano meglio di qualsiasi didascalia, le strade abbandonate, gli enormi condomìni-alveare ma con gli appartamenti dei criminali arredati nel lusso eccessivo e nella nauseante ridondanza di stucchi e rifiniture, fino alla onnipresenza idolatrica delle statue della Madonna e di Padre Pio. Tutto questo fa entrare lo spettatore in un ambiente di sconfortata e irrisolvibile decadenza, dove i personaggi devono solo muoversi a loro agio, privi di responsabilità nel dover essere credibili per gli incredibili misfatti che debbono compiere. Non c'è spazio, e non ce n'è motivo, per una risata o un volto rilassato in un mondo dove tutti tradiscono tutti un secondo dopo l'eterna promessa, solo o per un distorto, quanto mai malinteso, senso di un paradossale quanto assurdo e inesistente onore: in realtà solo per la propria sopravvivenza.
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È comunque stato un lavoro di squadra seguito a un eccellente casting, in cui è stata decisiva la scelta di privilegiare volti e talenti campani, più inclini al linguaggio, alla gestualità, più adeguati anche nella fisicità, a rendere definitivamente e drammaticamente concreti gli spaventosi misfatti che si susseguono ad un ritmo da manuale del thriller.
Un set di personaggi memorabili degno della saga del Padrino, che colloca la serie ad un livello  mondiale assoluto, perché ha saputo mettere in risalto i luoghi comuni legati a questo particolare tipo di criminalità senza però staccarsi dalla cronaca, la quale ogni giorno ci ricorda che delitti e traffico di droga sono cose che accadono eccome: e, se accadono, non è sbagliato pensare che questo di Gomorra sia uno dei mille modi possibili.
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Paradossalmente, la cosa meno autentica (si fa per dire) erano i collegamenti dell'inviato di Sky Tg24: troppe notizie, troppo precise, e puntualmente irritanti per i boss all'ascolto.
Viene da chiedersi se l'opera (trascorsa) di Saviano sia così efficace nella finzione perché adatta appunto più al romanzesco che alla denuncia sociale e che, se in effetti dovesse essere così, poco ne rimanga per la valutazione dei Tribunali: una questione intricata e difficile, che rimando alla valutazione di ciascun spettatore.

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